La laguna in versi: Yang Lian in ‘Elegia veneziana’

Un’ introduzione

Yang Lian, poeta e critico letterario, nasce nel 1955 a Berna dove i genitori lavorano come diplomatici. All'età di un anno, i genitori decidono di ritornare in Cina, ed il poeta cresce a Pechino, dove frequenta la scuola fino allo scoppio della Rivoluzione Culturale nel 1966. Nel 1974, Yang Lian viene mandato nei campi di lavoro della contea di Changping. Le lettere scambiate con la madre diventano per il poeta una via di fuga, un mezzo prezioso e significativo per autodeterminarsi in un ambiente dove il collettivismo viene esasperatamente imposto dallo Stato. Lo scrittore afferma che la morte della madre nel 1976 diede inizio alla sua vita di poeta. Nel 1979, Yang Lian inizia a scrivere poesia moderna (Xiandai shi 現代詩) e prende parte al Movimento Democratico 中国民主运动, nato durante la Primavera di Pechino. Più precisamente, il movimento inizia nel novembre 1978, quando gli intellettuali iniziano ad affiggere manifesti sulle mura della città. Tra questi, il famoso manifesto di Wei Jingsheng The Fifth Modernization: Democracy and Other Things[1]. Egli diventa presto un membro di spicco all'interno della rivista letteraria Jintian 今天 (Today)[2] grazie alla sua poesia sperimentale.

Today! 今天

Today! 今天

Nel 1983, in concomitanza con la campagna politica contro ‘l'inquinamento spirituale', egli riceve aspre critiche (NZEPC, 2001). A partire dagli anni '80, le autorità cinesi iniziano ad usare l'aggettivo '朦胧 ménglóng', ovvero 'oscuro', ‘brumoso’, 'incomprensibile', per descrivere i poeti Jintian.

dopo la Rivoluzione culturale i poeti brumosi, partendo da strade autonome, hanno notato chiaramente i problemi intrinsechi alla lingua cinese: come essa sia stata pesantemente inquinata da parole politiche grandi ma vuote, come Rivoluzione, Lotta di classe, Dittatura democratica delle persone, Dialettica della storia. Quindi, siamo tornati a Sole, Terra, Pietra, Fiume, Vita, Morte, Oscurità, Dolore, le parole usate nelle poesie classiche, con l’idea di esprimere le nostre esperienze interiori e moderne in virtù di una disposizione molto più creativa.
— (Fraccacreta, 2020)

Il 4 giugno 1989, giorno del massacro di piazza Tian’anmen, entrambi Yang Lian e Gu Cheng, con le rispettive famiglie, si trovano ad Auckland come visiting scholars. Alla fine del 1989, i suoi libri vengono vietati e Yang sceglie di vivere in esilio. Dal 1997, il poeta risiede stabilmente a Londra.

Chi non è in esilio in questo pazzo mondo d’oggi? [...] Ciascuno dei miei libri non è soltanto un libro, ma un progetto [...] L’esilio è un processo in corso che non finisce mai, una situazione esistenziale per la quale non importa se sono fuori o dentro la Cina. Ognuno deve creare attivamente il proprio “esilio” basato sulla consapevolezza
— Fraccacreta, 2020

Dove inizia, dunque, questo auto-esilio? Gli scritti di Yang Lian viaggiano su due binari opposti, allontanandosi costantemente dalla sua terra natale, ma allo stesso tempo volgendo lo sguardo verso la lingua cinese. Attraverso la sua lingua madre, il poeta ambisce a catturare la profondità del reale, spingendo il suo pensiero poetico al superamento dei confini geo-culturali e temporali (Pozzana, 2010, p. 125). Yang Lian incarna la figura del poeta archeologo che, tramite la lingua e la poesia, cerca di scavare nelle profondità della terra e della sua stessa interiorità. Qual è quindi il significato del termine 'locale'? ‘Locale' non significa affatto un sito specifico, bensì indica strati e strati di siti. Il poeta afferma: "Datemi un solo respiro, e io metterò radici, penetrerò nel suolo, sonderò ghiaia e magma, e sentirò il mare attraverso ogni arteria e vena, condividendo il viaggio di ogni navigatore dall'alba dei tempi (Yang, 2006)."

E’ chiaro quindi che il ruolo del poeta è mutevole, fluido, instancabilmente trasformativo. Il profondo senso di responsabilità spinge Yang Lian a sottoporre la lingua ad una torsione soggettiva volta a superare un determinato patto temporale. Il poeta adotta una lingua del presente lanciata verso il ‘futuro’, ma allo stesso modo verso le infinite potenzialità della lingua del ‘passato’ (Pozzana, 2010, p. 77).

Elegia veneziana, Yang Lian

Elegia Veneziana 威尼斯哀歌 è una raccolta di poesie di Yang Lian, edita da Damocle Edizioni, una piccola casa editrice indipendente sita nella laguna veneziana e tradotta da Federico Picerni. Questa composizione poetica è stata terminata il 14 luglio 2017, il giorno in cui il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo moriva in prigione. Questa Elegia, dal greco élegos [3], diventa un canto malinconico nel quale le immagini di Venezia s’intrecciano a quelle di un dolore collettivo. Yang Lian, come un poeta archeologo, scava nelle profondità di Venezia, mettendone a nudo difetti e fragilità.

Dovremmo imparare a leggere la città come un libro molto più complesso. Siamo tutti turisti troppo veloci, siamo ospiti di passaggio, come diciamo in cinese (过客 guòkè): siamo come il mare che non si ferma mai. Ma se non riconosciamo l’altro, siamo fermi, la nostra vita è priva di significato e di bellezza.
— (Picerni, 2019)

Il poeta sfida il lettore a riflettere sulle proprie origini, sul significato stesso della parola ‘profugo’ e lo fa partendo da una delle città più complesse e controverse del mondo: Venezia. Chi sono i Veneziani? Chi è l’Altro? Chi, a questo mondo, non è un profugo? Il processo per cui i veneziani diventarono un popolo a sé fu graduale. Nell’impero romano, le terre situate all’estremità settentrionale dell’adriatico erano dette “Venetia”. A quel tempo lagune più ampie di quelle che oggi circondano Venezia si estendevano da Ravenna verso settentrione, arrivando fino alla città di Aquileia. Le strisce di sabbia detti ‘lidi’ proteggevano le lagune dalle tempeste dell’Adriatico. I lidi e le isole in ben protette lagune retrostanti venivano utilizzati come località di soggiorno durante il periodo estivo dagli abitanti facoltosi di Padova e Aquileia. Lagune e lidi erano però anche abitati da nativi, esperti nell’arte di navigazione lagunare, nonché i primi in grado di campare in quella mescolanza di fango, acqua e sabbia. L’invasione longobarda d’Italia, nel 568, diede avvio a una migrazione di profughi dalle città alla terraferma, e modificò la struttura sociale dei veneziani. Uomini facoltosi trasferirono la propria residenza nelle lagune, portando con sé familiari, dipendenti e quanto più potevano dei loro averi (Lane, 1978, pp. 4-7). Il luogo che chiamiamo Venezia, era allora in massima parte una distesa d’acqua , con un grappolo di isolotti, il maggiore dei quali era detto RivoAlto [fig. 1].

Fig. 1 - RivoAlto

Fig. 1 - RivoAlto

Venezia è quindi un' isola di profughi. All’interno di queste elegie, Venezia diventa la personificazione di un corpo profugo che si contorce.

Venezia si contorce invisibile nella carne
libera un bambino rannicchiato nella palude infine svelata
chissà se dovrebbe arrampicarsi fuori o scivolare in questo mare
chissà se il suo volto rivolto verso il basso reclami la terra natia o una terra
straniera
la Siria non riesce a svegliarsi   Baghdad è da tempo in macerie i confini del
cielo
sono sponde del mare   immobili per millecinquecento anni

-Elegia Veneziana 1, Poesia dell’esilio逃亡之诗 (táowáng zhī shī)

Tramite un linguaggio legato all’immaginario della palude, del marciume, del fango e delle mosche, Yang Lian mette in parallelo, stravolgendo qualsiasi logica geospaziale, Venezia e la Siria. Egli chiede ai suoi lettori e alle sue lettrici di riflettere sulle conseguenze del turismo di massa, del materialismo e, soprattutto sulla guerra e sulla condivisione della sofferenza con l’Altro. Il mare che circonda Venezia rappresenta una speranza, una via di fuga, ma è un'illusione ingannevole. L'acqua cela sotto la superficie il più grande fallimento dell'umanità, le sue colpe e le sue disfatte. L'indifferenza è governata da un meccanismo ciclicamente autodistruttivo. Ma come l'acqua, le miserie dell'umanità che non conoscono passato e presente trovano modo di rigenerarsi. Evaporazione, condensazione, precipitazione ed, infine, infiltrazione. La sofferenza dell’Altro è il fallimento di tutti. Non c’è bellezza che possa cancellare o nascondere il marciume delle azioni umane.

Tuttavia, la poesia può diventare uno strumento attraverso il quale avvicinarsi alla propria interiorità e all’Altro. La poesia può diventare uno spazio condiviso, un luogo ‘non luogo’ dove i confini geografici sono inesistenti. Una nave fluttuante tra le nuvole, in una dimensione atemporale. Gli stessi componimenti di Elegia Veneziana, non mirano a tracciare dei confini tra Venezia, Siria e Cina. I confini vengono cancellati dalle onde dei canali veneziani che, al passaggio delle barche, s’infrangono sulle rive e sulle pietre delle fondamenta. Nell’itinerario poetico di Yang Lian è in corso un ‘dialogo con il mondo circostante’, anche chiamato 互动 hùdòng (reciproco movimento, interazione). Troviamo l’incerto confine ‘immaginario’ tra un ‘reale’ ed un ‘simbolico’, radice di una costitutiva ‘allusività’ delle modalità di pensare cinese (Pozzana, 2010, pp. 120-122). Egli crea una sorta di sospensione della temporalità che estende il campo di possibili letture, valorizzando il ruolo attivo attribuito al lettore.
Il poeta riconosce la sua molteplicità: “nello stesso momento ci possiamo trovare in punti temporali diversi, in innumerevoli luoghi diversi, sei tutti i tuoi altri tu”. Il tempo concreto viene annullato. L’abolizione della temporalità è espressione del decentramento poetico dell’io: solo nella poesia, infatti, si alternano lo spazio umano scritto ‘senza tempo’, l’io, tutti gli io e tutti gli uomini (Yang, 2016, p. 23).

Solchiamo il tempo come rondini sobbalzanti al rintocco delle campane
— Elegia veneziana 2, Poesia del marciume 腐烂之诗

Note

[1] Il manifesto invitava il Partito Comunista Cinese ad aggiungere la democrazia alla lista delle Quattro Modernizzazioni 四个现代化, riforma lanciata ufficialmente da Deng Xiaoping nel 1978 che includeva i campi dell'industria, l'agricoltura, la scienza e la tecnologia e la difesa nazionale.

[2] http://www.jintian.net/ (last accessed: 2021-10-16).

[3] letteralmente: lamento in versi, rievoca una forte teatralità dell’atto del lamentarsi.

Bibliografia

Fraccacreta, A. (2020, settembre 12). Yang Lian: «Poesia è la nostra madre comune». Avvenire.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/poesia-la-nostra-madre-comune (last accessed: 15 ottobre 2021).

Lane, Frederic C. (1978). Storia di Venezia. Torino: Einaudi.

NZPEC. New Zealand Electronic Poetry Center (2001, ottobre). Yang Lian: Publications and Biography.
http://www.nzepc.auckland.ac.nz/authors/yang/ylbio.asp (last accessed: 15 ottobre 2021).

Picerni, F. (2019). Venezia è bella, ma non abbastanza. Poetry: A Glass Garden (pp. 50-53). Livorno: Sillabe.

Pozzana, C. (2010). La poesia pensante: Inchieste sulla poesia cinese contemporanea. Macerata: Quodlibet.

Yang, L. (2006, gennaio 10). A wild goose spoke speaks to me. Yang Lian.
http://yanglian.net/yanglian_en/essays/essays_01_07.html (last accessed: 12 ottobre 2021).

Yang, L.(2016). Dove si ferma il mare (C. Pozzana, trad.). Venezia: Damocle.

Yang, L. (2019). Elegia veneziana. Ediz. cinese, inglese e italiana (F. Picerni, trad.). Venezia: Damocle.

Indietro
Indietro

Giocando si beve: il Juryeonggu e le tazze coreane

Avanti
Avanti

Strange Beasts of China